Gli stili attributivi: Cosa sono e come si manifestano.

Quando un obiettivo viene raggiunto e (soprattutto) quando non viene raggiunto, l’individuo si interroga sulle cause del successo o dell’insuccesso: effettua di fatto delle attribuzioni causali.

gli stili attributivi

Il panorama di risposte psicologiche ed atteggiamenti che si possono osservare come reazioni agli eventi che riguardano una persona sono molto vari. Le nostre reazioni, infatti, dipendono  da diversi fattori che, attraverso dinamiche parzialmente prevedibili, entrano in relazione tra loro.

Uno di questi è rappresentato dall’insieme di routine, schemi, meccanismi che con il tempo vanno strutturandosi e perfezionandosi. Queste dimensioni vengono di solito definite in letteratura, come ad esempio nei testi volti alla formazione docenti, con il termine di stili attributivi.

Definizione, usi e funzioni degli stili attributivi.

Gli stili attributivi si configurano come delle spiegazioni o percezioni soggettive di eventi, di successi, di fallimenti.

La teoria delle attribuzioni affonda le sue radici in alcuni studi del secolo scorso (Heider, 1958; Kelley, 1973; Weiner, 1985), proposti in diversi corsi di formazione docenti. L’assunto di base consiste nel fatto che gli individui hanno un bisogno innato di rappresentarsi e comprendere le cause dei fenomeni circostanti, al fine di modulare le loro risposte in modo coerente.

Gli stili attributivi costituiscono validi predittori del comportamento umano, lo guidano attraverso ricompense e punizioni, influenzano aspettative ed emozioni di ognuno di noi.

In pratica ciascun individuo attribuisce le cause agli eventi che lo coinvolgono, indicando fattori o variabili che non sempre vengono percepiti come controllabili dal soggetto stesso.

A tale proposito, Heider sosteneva che le attribuzioni create dall’uomo possono essere generate da due tipologie di cause: interne ed esterne.

Il locus of control.

Facciamo un esempio:

Un alunno riceve un buon voto dopo un compito in classe e afferma con fierezza che quel giudizio è frutto esclusivamente della sua metodica preparazione a casa.

Questo è il caso di un’attribuzione interna, ovvero l’esito di un determinato evento (il buon voto) dipende strettamente da un fattore personale interno al soggetto (il proprio impegno nello studio). In tali circostanze, si parla di locus of control interno.

Ora riprendiamo l’esempio precedente:

L’esito del compito è negativo e il discente sostiene che il brutto voto sia causato dal fatto che il professore che “l’abbia con lui”.

In questo caso la causa dell’esito negativo non è attribuibile a un fattore gestibile in prima persona dall’alunno, ma è ricondotta ad un fattore esterno (il professore) e non è controllabile dall’alunno. Si parla quindi di locus of control esterno, e tra i fattori che rientrano in questa modalità, vi sono anche quelli di stampo sovrannaturale, in una sorta di pensiero magico incontrollabile (es. “è stata solo sfortuna”).

Molti studi (Dweck & Moè, 2007) rilevano come l’individuo che tende ad avere un locus of control interno, soprattutto come risposta alle situazioni spiacevoli, vedrà innalzarsi l’asticella della fiducia in se stesso e il senso di agency (Bruner, 1994).

Questo perché il locus interno innalza la percezione che la possibilità di migliorare le cose dipenda dal singolo soggetto.

In caso di attribuzioni esterne, invece, la tendenza è quella di non riuscire a responsabilizzarsi nei compiti e pensare di essere immersi in un vortice di eventi a cui si può solo assistere fatalisticamente. L’agency ne appare compromessa, perché non ci si percepisce artefici del proprio destino.

Stabilità e controllabilità delle attribuzioni.

Nel fronteggiare l’esito di un qualsiasi evento, siamo soliti interrogarci sui motivi alla base dei nostri successi o dei nostri fallimenti. A tal proposito, Weiner (1985) parla di altri due fattori che intercorrono in tali processi, oltre al succitato locus of control: la stabilità e la controllabilità delle attribuzioni.

Le tre dimensioni delle attribuzioni causali permettono di rintracciare tipologie di cause ricorrenti di successi e fallimenti. Tra questi, si citano:

  • la tenacia
  • l’abilità
  • l’impegno
  • il tono dell’umore
  • il pregiudizio di chi valuta
  • la difficoltà del compito
  • l’aiuto
  • la fortuna.

In ogni caso, si tratta di un paradigma che non tiene conto di fattori soggettivi che possono modulare le proprie abilità, ma costituisce comunque uno schema a cui guardare con favore per prendere in considerazione le reazioni emotive ad esso connesse.

A titolo di esempio, il rapporto tra emozioni e locus of control può essere estrinsecato nei termini per cui se i successi sono attribuiti a cause interne, ciò incrementa la stima di sé. In caso contrario, si tenderà a provare gratitudine verso chi ha fornito l’ausilio, ma ciò andrà a scapito del senso di autoefficacia.

Supponiamo invece che la preparazione sia migliore nell’interrogazione rispetto al compito, ma che l’esito delle prove sia identico. La probabilità di attribuire la causa all’insegnante aumenta, ma in termini di giudizio pregiudizievole e, in caso di esiti negativi, quasi persecutorio nei propri confronti.

Si tratta di una causa stabile, perché perdura nel tempo, ma esterna. L’instabilità invece si caratterizza per la sua temporaneità, come può essere un impegno limitato per un certo compito (causa interna) o il fatto di aver copiato da un compagno (causa esterna e instabile, poiché non è detto che possa ripetersi in futuro).

Altra dimensione che intercorre nelle attribuzioni è la controllabilità, che Weiner definisce anche intenzionalità. Nei casi citati, si può tendenzialmente controllare lo studio (limitato o costante), così come il pregiudizio dell’insegnante o l’aiuto da parte.

Al contrario non si può di certo controllare la propria naturale inclinazione in una materia piuttosto che in un’altra (locus interno e stabile), l’elevata difficoltà di un compito (locus esterno e stabile), l’umore del giorno (locus interno e instabile) o il caso (locus esterno e instabile).

Di conseguenza, qualsiasi attribuzione ha un’incidenza sull’apprendimento scolastico con un’influenza notevole su aspettative, motivazioni ed emozioni. In questo contesto s’inserisce un costrutto strettamente connesso a quello delle attribuzioni e che in ambito scolastico trova purtroppo terreno fertile: l’impotenza appresa (Seligman & Maier, 1967; Seligman, 1972).

Si tratta di “un fenomeno osservato negli uomini e in altri animali nel momento in cui vengono condizionati ad aspettarsi dolore, sofferenza o disagio senza che abbiano un modo per sfuggirvi” (Cherry, 2017).

Una sequenza di fallimenti può essere troppo gravosa per chiunque, soprattutto per un alunno: ecco che viene fuori l’atteggiamento rinunciatario, di chiusura, per cui il soggetto è portato ad abbandonare immediatamente il compito, senza tentare alcuna strategia.

Tipi di stili attributivi.

Una categorizzazione recente (Ravazzolo et al., 2005; De Beni & Moè, 2006) ha evidenziato 5 tipologie di stili attributivi:

  1. impegno strategico: il successo o l’insuccesso ruotano intorno alle proprie capacità, che eventualmente possono essere modificate in caso di fallimento;
  2. depresso: l’insuccesso è attribuito alle proprie incapacità e l’atteggiamento è tendenzialmente rinunciatario;
  3. pedina: il soggetto mette in atto delle attribuzioni esterne, sia in caso di successo che di insuccesso, ma può mettere in atto strategie per migliorare la situazione;
  4. negatore: simile al precedente, ma in questo caso non si cercano strategie per ovviare al fallimento;
  5. abile: tutto è determinato dalle proprie abilità e, in caso di esito negativo, potrebbero non presentarsi modalità adattive per superare l’insuccesso (impotenza).

In sintesi, si può dire che basarsi su attribuzioni interne, e dunque credere che successi e insuccessi siano l’effetto del proprio impegno e delle proprie abilità, porta a sviluppare un atteggiamento più strategico e maggiori sforzi per riuscire nelle compiti.

Al contrario, la preponderanza di attribuzioni esterne indirizza a pensare che si possa avere meno controllo sulle situazioni e che si possa solo subire il flusso degli eventi.

Stili attributivi e cognizione: l’apprendimento scolastico.

gli stili attributivi

In uno studio recente (Gonzálvez et al., 2018), è stato analizzato il rapporto tra attribuzioni e rifiuto scolastico, nonché tra stili attributivi e risultati in matematica. I risultati hanno mostrato che gli stili cognitivi possono costituire degli ottimi predittori nel confronti degli atteggiamenti negativi verso la scuola.

I soggetti delle scuole superiori che avevano abbandonato la scuola attribuivano il loro insuccesso per lo più alla scarsezza di capacità e di impegno scolastico. Invece gli studenti alla ricerca di rinforzi tangibili al di fuori della scuola avevano maggiori probabilità di attribuire il loro successo alla capacità.

Tuttavia, ciò che potrebbe essere interessante comprendere all’interno del contesto scolastico è il modo in cui vengono utilizzati gli stili attributivi anche da soggetti che presentano alcune specifiche difficoltà a livello di apprendimento.

I dati presenti in letteratura generalmente indicano che i soggetti con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) sono caratterizzati da un sistema metacognitivo piuttosto deficitario, con un massiccio utilizzo di attribuzioni esterne.

Uno studio del nostro Paese (Pasta et al, 2013) ha analizzato le strategie attributive dei soggetti con DSA comparate a quelle di altri alunni con lo stesso livello di scolarità.

I risultati hanno confermato che i primi tendono a non utilizzare uno stile attributivo basato sull’impegno. Tendono dunque ad avere una forte dipendenza dalla figura dell’insegnante e a ricercare aiuto anche quando non è necessario, poiché non credono nelle loro potenzialità.

Per questo motivo potrebbe occorrere una sorta di impotenza appresa (Garber & Seligman, 1980). Se questo stile dovesse svilupparsi, essi potrebbero arrivare a credere che non possono cambiare l’esito delle situazioni e quindi rinunciare a fare uno sforzo.

Questo potrebbe innescare un circolo vizioso che porta a risultati sempre più scoraggianti con una progressiva perdita di fiducia nelle proprie capacità e in se stessi.

Implicazioni didattiche.

La buona notizia per chi insegna è che gli stili attributivi sono appresi e si possono modificare (Ravazzolo, De Beni & Moè, 2005).

La possibilità di poter riflettere sui processi mentali e, soprattutto, sulle proprie capacità cognitive consente infatti di monitorare e aggiornare le strategie di intervento su punti di forza e debolezza. Infatti la consapevolizzazione degli aspetti che ostacolano l’apprendimento può costituire una buona strada per un cambio di prospettiva attribuzionale.

Non è tanto il contenuto dell’apprendimento a esser messo sotto la lente d’ingrandimento, quanto la modalità dell’apprendimento che deve facilitare l’alunno nel suo percorso didattico. Sviluppare l’autovalutazione per intervenire sulla motivazione ad apprendere: non c’è modo migliore per lavorare e avere stili attributivi di successo.

Dott. Diego Izzo

diego_izzo@yahoo.it

 

BIBLIOGRAFIA

Bruner, J. (1994). The “remembered” self. The remembering self: Construction and accuracy in the self-narrative, 41-54.

De Beni, R., Moè, A. (2006), Motivazione e apprendimento, Il Mulino, Bologna.

Dweck, C. S., & Moè, A. (2007). Teoria del sé: intelligenza, motivazione, personalità e sviluppo. Trento: Erickson.

Garber, J. & Seligman, M.E. (1980). Human Helplessness: Theory and Applications. Nueva York: Academic Press.

Gonzálvez, C., Sanmartín, R., Vicent, M., Inglés, C. J., Aparicio‐Flores, M. P., & García‐Fernández, J. M. (2018). Academic selfattributions for success and failure in Mathematics and school refusal. Psychology in the Schools, 55(4), 366-376.

Heider, F. (1958). The psychology of interpersonal relations. New York Wiley

Kelley, H. H. (1973). The process of causal attributions. American Psychologist, 28, 107–128.

Ligorio, M. B., & Cacciamani, S. (2013). Psicologia dell’educazione. Roma: Carocci Editore.

Martinko, M. J., Harvey, P., & Dasborough, M. T. (2011). Attribution theory in the organizational sciences: A case of unrealized potential. Journal of Organizational Behavior, 32(1), 144-149.

Pasta, T., Mendola, M., Longobardi, C., Pino, L. E., & Gastaldi, F. G. M. (2013). Attributional style of children with and without Specific Learning Disability.

Ravazzolo, C., De Beni, R., & Moè, A. (2005). Stili attributivi motivazionali: percorsi per migliorare le capacità di apprendimento in bambini dai 4 agli 11 anni. Edizioni Erickson.

Seligman, M. E. (1972). Learned helplessness. Annual review of medicine, 23(1), 407-412.

Seligman, M. E., & Maier, S. F. (1967). Failure to escape traumatic shock. Journal of experimental psychology, 74(1), 1.

Weiner, B. (1985). An attributional theory of motivation and emotion. New York: Springer-Verlag.

Weiner, B. (1995). Judgments of responsibility: A foundation for a theory of social conduct. Guilford Press.

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