Le paure dei bambini: dal processo di crescita alle fobie scolastiche

Che cos’è la paura dei bambini ed in quali situazioni si può trasformare in fobia scolastica

formazione docenti fobie scolastiche

Cosa è la paura

La paura è un’emozione primaria, che accomuna esseri umani ed animali. Secondo la definizione di Galimberti (2006), la paura è sempre determinata da una situazione di pericolo, che può essere reale ed immediato, annunciato da una previsione, richiamato da un ricordo ο generato da una fantasia (Galimberti, 2006).

Numerosi autori di testi di formazione docenti evidenziano la funzione adattiva e difensiva della paura, indicando in essa uno dei fondamentali dispositivi psicobiologici che consentono all’uomo di adeguarsi rapidamente alle richieste dell’ambiente e proteggersi dalle sue minacce (Binetti, Ferrazzoli, & Flora, 1999; Ciceri, 2008; Falorni & Smorti, 1984; Lionetti, 2009; Oliverio Ferraris, 2007; Robinson, 2004; Wolman, 1978).

Tra tutti gli esseri viventi, l’uomo è quello dotato del maggior numero di paure e questo proverebbe l’importanza che tale emozione riveste per il nostro sviluppo (Ciceri, 2001).

È proprio grazie alla capacità di ricordare o immaginare delle situazioni pericolose che l’essere umano riesce ad attivare processi cognitivi avanzati per progettare soluzioni volte ad aumentare la propria sicurezza, sia fisica che emotiva (LeDoux & Coyaud, 2003).

Paure normative nell’età dello sviluppo

Nel corso dello sviluppo i bambini tendono ad esibire numerose paure, la maggior parte delle quali sono considerate parte naturale del loro processo evolutivo (Gullone & King, 1993; Thomas H. Ollendick, Matson, & Helsel, 1985).

Queste paure vengono chiamate ‘normali’ o ‘normative’. Una paura è ritenuta normativa quando presenta una bassa intensità, se è riferita ad un oggetto o situazione specifica, se si presenta ad una data età e se ha una durata temporale circoscritta (Gullone & King, 1993).

Le paure normali generalmente scompaiono mano a mano che il soggetto riesce ad adattarsi all’ambiente (Gullone, 2000).

In Figura 1 vengono indicate alcune comuni paure normative e le relative età di riferimento. Tra esse troviamo l’incontro con persone sconosciute, la separazione o perdita di genitori e persone care, i fenomeni naturali, l’oscurità, gli animali e le creature immaginarie (Thomas H. Ollendick, King, & Muris, 2002).

Formazione docenti Paure normative nell’età dello sviluppo

Paure normative nell’età dello sviluppo (Capurso e Trappa, 2005)

 

Il fatto che una paura sia normativa, tuttavia, non significa che essa sia anche universale.

Bambini di cultura diversa possono avere paure differenti o anche indicare elementi timerici con un ordine di importanza discorde (Robinson, 2004).

Per esempio, in un lavoro di alcuni anni fa svolto con soggetti di una popolazione beduina musulmana e i loro coetanei israeliani, Elbedour, Shulman, and Kedem (1997) hanno evidenziato numerose differenze nelle paure espresse dai bambini intervistati, anche se essi vivevano a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro.

Secondo gli autori questo avviene perché la paura infantile riflette il modo attraverso il quale i bambini danno senso al mondo in cui vivono e al loro ruolo all’interno di esso, e tale aspetto, a sua volta, è fortemente influenzato da sistemi culturali e ambientali.

La paura della scuola

Abbiamo visto come la paura sia necessaria alla sopravvivenza e svolga delle funzioni utili adattamento dell’uomo.

Tuttavia ci sono situazioni in cui l’eccesso di paura e l’ansia ad essa collegata divengono problematici.

Questo avviene quando si raggiungono livelli elevati di paura, quando questi perdurano nel tempo e quando la paura assume un tratto pervasivo, che diviene scollegato dalla presenza reale di un oggetto o situazione timerica (Capurso, Di Renzo, & Bianchi di Castelbianco, 2012).

In alcuni bambini, questo tipo di difficoltà si presentano con una certa frequenza anche nel contesto scolastico, dove la persistenza ed intensità dei sentimenti di paura può generare problemi di carattere educativo o sociale (King, Ollendick, & Gullone, 1990).

Questi problemi di adattamento alla scuola hanno generato nel tempo diversi filoni di ricerca, che riguardano, rispettivamente, la fobia scolare o il rifiuto scolastico.

La fobia scolare

Il concetto di fobia scolare, elaborato per la prima volta da Johnson e coll. (1941), viene di solito utilizzato dagli autori di formazione psichiatrica o psicoanalitica.

Essa indica una paura diffusa e persistente, ritenuta irrazionale dagli stessi soggetti, che altera il normale funzionamento dell’individuo, fino ad impedirne la frequenza scolastica (Maj, 2004; Schaefer, Watkins, & Burnham, 2003; Tyrrell, 2005).

Molti autori ritengono che la fobia scolare non rappresenti una diagnosi psichiatrica in sé, ma costituisca invece una componente sintomatica importante di una più vasta gamma di disturbi psichiatrici o di problemi socio-relazionali (Sogos, Mazzoncini, Lapponi, & Levi, 2005).

La fobia scolare infatti può essere inserita nel quadro della fobia sociale, che si verifica quando l’alunno ha paura di situazioni relazionali che potrebbero rilevare una sua presunta inadeguatezza, esponendolo al giudizio negativo degli altri. In questi casi si cerca di fuggire o evitare la situazione, con l’obiettivo di salvaguardare la propria immagine. In questi casi l’emozione temuta sopra ogni altra è la vergogna (Hoff et al., 2017).

In altri casi la fobia scolare è ricondotta ad una forma di agorafobia (Gupta & Coxhead, 2017). In termini generali, l’agorafobia è caratterizzata dall’ansia di trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto in caso di bisogno (Arrindell, 1980).

L’agorafobia riguarda di solito situazioni nelle quali il soggetto percepisce una propria solitudine (intesa soprattutto come lontananza da persone o luoghi familiari) o un senso di isolamento: trovarsi fuori casa da soli, essere in mezzo alla folla o in una coda di persone, attraversare su un ponte, viaggiare da soli. Le situazioni temute vengono evitate oppure sopportate con molto disagio.

A livello psichiatrico la fobia scolare è spesso inserita nel quadro clinico del “Disturbo di Ansia da Separazione” (T. H. Ollendick, Raishevich, Davis, Sirbu, & Ost, 2010; Sogos et al., 2005; Tyrrell, 2005).

Quando la paura si trasforma in fobia essa non viene più vista come un’emozione adattiva, utile ad elaborare i contenuti di un’esperienza da affrontare, ma diventa invece un impedimento che ostacola l’avvicinamento alla situazione da esplorare o al problema da risolvere.

Tale aspetto risulta particolarmente evidente quando la fobia riguarda la scuola, tanto che nella pratica clinica le situazioni di fobia scolare rappresentano la causa principale di richiesta di intervento diagnostico e terapeutico in età evolutiva (Gandolfi & Martinelli, 2004).

Il fenomeno del rifiuto scolastico

Una seconda area di ricerca collegata alla paura della scuola è quella del rifiuto scolastico (school refusal).

Questo fenomeno ha un significativo impatto sullo sviluppo emozionale e cognitivo del bambino (King & Bernstein, 2001) e sulla società in genere. Si stima che tale forma di rifiuto della scuola colpisca circa il 4,5% dei bambini in età scolare con una incidenza maggiore intorno ai 5-6 anni e agli 11-12 anni d’età (Fremont, 2003).

Nel breve termine, il rifiuto della scuola è associato ad un basso rendimento scolastico e a difficoltà di relazione con il gruppo dei pari (Last & Strauss, 1990).

Spesso anche il rifiuto della scuola rappresenta a sua volta la manifestazione di un disturbo psicologico più complesso. Si rilevano infatti, con una certa frequenza, collegamenti con la depressione, con altre forme fobiche o con disturbi a carattere ansioso (Lehmkuhl, Flechtner, & Lehmkuhl, 2003) (Mouren & Delorme, 2006).

Tali disturbi, inoltre, tendono ad evolvere in strategie di evitamento o fuga che permangono anche durante l’età adulta e possono venire trasferite a contesti diversi (Burke & Silverman, 1987).

Talvolta, alla radice del rifiuto scolastico è presente quella che Boimare (2005) nel suo corso di formazione docenti chiama paura di apprendere. Si tratta, in realtà, di un timore psichico profondo, che nasce dal senso di inadeguatezza del sé davanti al mondo, o da mancanze affettive che hanno profonde radici nella prima infanzia.

Tali ferite rendono impossibile al bambino affrontare il dolore connesso alle difficoltà di affrontare nuovi apprendimenti, generando reazioni oppositive o di fuga che finiscono per congelare la capacità di pensare.

Come aiutare bambini che hanno paura

Nei casi più gravi di fobia scolare, agorafobia o fobia sociale è importante che scuola, famiglia e servizi psicologici lavorino assieme. E’ infatti essenziale non improvvisare soluzioni e lasciare agli specialisti il compito di effettuare una diagnosi precisa e l’applicazione di tecniche terapeutiche appropriate (Fedeli & Meazzini, 2002).

Tutto questo non toglie che la scuola, rappresentando un contesto di vita cruciale per lo sviluppo del bambino, possa contribuire a mettere in atto strategie di aiuto e di sostegno al sano sviluppo sociale psicologico del bambino.

Anzitutto, si tratterà di lavorare con i genitori per facilitare azioni di accompagnamento dell’alunno ed eventualmente concordare, in tempi precisi, forme di comunicazione (es. skype, messaggi, telefonate) che facciano sentire il bambino in contatto quelle persone che sono per lui fonte di sicurezza e protezione (genitori, fratelli o sorelle, ecc).

Questa forma di sostegno deve poi essere gradualmente sostituita dal supporto derivante dalla vicinanza dei compagni. L’amicizia infatti rappresenta uno dei fattori protettivi più importanti anche nel caso delle fobie dell’infanzia, e può creare legami protettivi che durano per tutta la vita (Dunn & Marchetti, 2006).

In generale si tratta di non focalizzarsi troppo sui sintomi timerici, coinvolgendo invece attivamente il bambino o ragazzo in attività svolte con i pari.

Anche il ruolo dell’insegnante diviene cruciale. La paura infatti non deve tanto essere negata, quanto accolta dall’insegnante come parte naturale del processo di crescita.

Essa deve quindi essere contenuta, tollerata e gestita dalla mente dell’insegnante, che dovrebbe avere la capacità di trasformarla in momento di apprendimento, spostando l’attenzione dall’oggetto timerico alle strategie da mettere in atto per gestirlo (Capurso, 2004).

Infine, per affrontare quelle paure di apprendere più profonde, che bloccano la mente del bambino e lo spingono verso comportamenti oppositivi o di fuga, risulta interessante l’approccio della mediazione degli oggetti culturali proposto da Boimare (2005). Ne parliamo nel nostro corso “il bambino e la paura di apprendere”.

Grazie all’azione educativa della scuola bambini e ragazzi possono imparare a vedere le paure come un elemento naturale del loro processo di crescita, leggendo in esse un segnale di allarme che deve però indirizzare le loro energie verso i processi utili a risolvere e superare il problema, anziché arrendersi a soluzioni di fuga o aggressione che non farebbero altro che aggravarlo.

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