L’intelligenza emotiva: comprendere e gestire le emozioni a scuola

Ecco in che modo essere emotivamente intelligenti facilita il funzionamento individuale

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Intelligenza cognitiva ed emotiva

Quando si parla di intelligenza, argomento spesso trattato durante la formazione docenti, si è soliti riferirsi a un termine ombrello che coinvolge sostanzialmente dei domini del funzionamento individuale riconducibili alla memoria, all’apprendimento e alla concentrazione.

In altre parole l’intelligenza, nel senso più comune e tradizionale del termine, ingloba capacità strettamente cognitive, declinabili in differenti contesti, ma da cui sono escluse componenti più squisitamente sociali, relazionali ed emotive.

In tal senso, nel corso degli anni ha iniziato a prendere corpo l’ipotesi di affiancare al diffuso costrutto dell’intelligenza un concetto similare e complementare.

L’obiettivo era quello di valutare e individuare delle competenze che fossero socialmente orientate e che dunque tenessero conto del contesto in cui estrinsecarlo, con il notevole peso degli elementi emotivi.

Breve storia dell’intelligenza emotiva

I primi approcci nel tentativo di individuare una sorta di intelligenza emotiva sono relativamente recenti.

Dai primi anni del XX secolo (Thorndike, 1920) e per alcune decadi sono stati condotti studi sulla competenza emotiva di soggetti che mostravano alcune difficoltà nel riconoscimento delle emozioni o che mostrassero abilità (o inabilità) nel riconoscere e descrivere le emozioni (Ruesch,1948; MacLean, 1949).

Tuttavia, bisogna aspettare gli anni ’90 per individuare una valida cornice teorica a una questione così controversa e poco limpida come la definizione di un’intelligenza emotiva.

I due psicologi sociali statunitensi Peter Salovey e John Mayer la definiscono come “la capacità di controllare i sentimenti ed emozioni proprie e altrui, di distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni” (Salovey & Mayer, 1990).

L’intelligenza emotiva si configura quindi come la capacità di identificare e gestire le emozioni proprie ed altrui, e tradizionalmente in essa si individuano tre abilità di base.

Queste abilità sono la consapevolezza emotiva, la capacità di coordinare le proprie emozioni ed utilizzarle in modo utile nei processi cognitivi (come ad esempio nel problem solving) e la capacità di regolare efficacemente le proprie emozioni e gestire efficacemente quelle degli altri.

Recenti sviluppi del concetto

Il concetto di intelligenza emotiva ha quindi permesso di integrare, seppur in linea teorica, il dominio cognitivo con quello emotivo-relazionale. In tale direzione si sono spinti gli studiosi degli anni successivi, costituendo altri due modelli sulla scia di quello appena citato.

Un modello complementare e/o alternativo di intelligenza emotiva ha sottolineato il ruolo di differenti competenze, quali l’autoconsapevolezza, la padronanza di sé, la motivazione, l’empatia e le abilità sociali (Goleman 1995/2011;1998/2000).

In un recente modello è stato dato al costrutto un taglio evoluzionistico, con particolare riferimento a concetti come la sopravvivenza e l’adattamento sulle emozioni, che a loro volta costituiscono il nodo per l’attuazione di un comportamento che possa essere definito emotivamente intelligente e, dunque, adattativo (Bar-On, 2006).

Intelligenza emotiva e benessere soggettivo

Questo modello si inserisce in una cornice storica che è quella della psicologia positiva, ovvero “lo studio scientifico delle caratteristiche positive e dei punti di forza che permettono agli individui di svilupparsi” (Positive Psychology Center, 2016).

Ad ogni modo, la traduzione empirica di quanto è stato concettualizzato non è stata di semplice esplicazione: lo studio del modo in cui l’intelligenza emotiva si intreccia con componenti quali la felicità e il benessere si è rivelato ricco di difficoltà e incertezze, nonostante alcune revisioni dei modelli (Salovey et al., 2008).

È stato comunque provato un certo legame tra intelligenza emotiva e livello della felicità della persona (Furnham & Petrides, 2008; Bar-On, 2010).

Bar-On, studioso statunitense che ha a lungo indagato l’intelligenza emotiva e ha creato una scala per misurarla (Bar-On & Parker, 2000), ha rilevato correlazioni significative tra la intelligenza emotiva e il dominio del benessere soggettivo.

Questo studioso ha rilevato inoltre il nesso tra la ricerca del senso della vita e dell’autorealizzazione (Bar-On, 2010), tra intelligenza emotiva e prestazioni individuali nell’ambito lavorativo e dell’istruzione (Bar-On, 2007).

Ciò rimanda alla possibilità che ci siano sovrapposizioni tra psicologia positiva e la EI, con particolare riferimento a competenze come l’autocontrollo, l’empatia, l’ottimismo, la gestione e la comprensione delle emozioni.

Intelligenza emotiva a scuola

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Appare evidente come le competenze collegate all’intelligenza emotiva svolgano un ruolo determinante in un contesto scolastico e la loro importanza si estende tanto agli alunni quanto agli insegnanti e dunque alla formazione docenti.

Comprendere se stessi e favorire una consapevolezza del sé può essere una strategia efficace per lavorare sulla gestione di situazioni emotivamente importanti, che siano positivamente o negativamente connotate.

Uno studio recente ha dimostrato come dei programmi ad hoc per lo sviluppo di competenze socio-emotive possano essere dei predittori di successi scolastici a lungo termine, indipendentemente da qualsiasi variabile socio-economica (Oberle et al., 2014). La connessione tra la dimensione socio-emotiva e la crescita accademica è stata inoltre confermata da studi meta-analitici (Durlak et al., 2011; Jones & Bouffard, 2012).

D’altro canto, l’assenza di competenza emotive risulta essere negativamente correlata con gli indicatori di successo e genera con maggior facilità un minor legame con la scuola, meno impegno, minore rendimento e un rischio più elevato di abbandono scolastico (Appleton et al., 2008; Whitted, 2011).

Bassi livelli di intelligenza emotiva risultano inoltre presenti in soggetti con determinati disturbi dello sviluppo, come ADHD (Kristensen et al.,2014) e disturbi specifici dell’apprendimento (Hen & Goroshit, 2014). Infine, è stata rilevata una minore intelligenza emotiva anche nei bulli e nelle loro vittime (Kokkinos & Kipritsi, 2012).

Alla luce di questi risultati scientifici, appare sempre più importante lavorare sulla intelligenza emotiva a scuola e per questo esistono oggi diversi percorsi didattici di formazione docenti.

Ad esempio il bel libro di Sunderland (1997), Disegnare le emozioni, è ricchissimo di spunti per lavorare in classe con alunni di tutte le età. Altre utili indicazioni si possono trovare nel lavoro di Di Fabio (2010).

BIBLIOGRAFIA

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Sunderland, M., & Zardon, F. (1997). Disegnare le emozioni: espressione grafica e conoscenza di sé: Centro Studi Erickson.

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