La genesi della conoscenza: il ruolo dei processi di assimilazione e accomodamento nello sviluppo cognitivo di Piaget

L’integrazione tra conoscenze pregresse e nuove informazioni rappresenta uno dei proce cruciali nello sviluppo cognitivo

Lo sviluppo cognitivo rappresenta un processo multifasico di cambiamenti relativi alle capacità di elaborazione dell’informazione e di apprendimento di contenuti fattuali mediante l’esperienza. Lo psicologo-pedagogista svizzero Jean Piaget è stato tra i maggiori esponenti nello studio della cognizione, attribuendo allo sviluppo una valenza stadiale: su tali presupposti ha fondato la disciplina dell’epistemologia genetica, ossia lo studio delle origini della conoscenza, spiegando in che modo si sviluppano le modalità di pensiero del bambino prima e dell’adulto poi nel fronteggiare la realtà esterna.

 

L’approccio stadiale di Piaget

Secondo Piaget (1936), l’affinamento delle strutture cognitive segue un andamento lineare da una capacità di operare e manipolare la realtà in modo grossolano e materiale a una capacità di astrazione che permette di rappresentarsela secondo una procedura logico-inferenziale. Si tratta di evoluzioni qualitative del pensiero, che tuttavia non possono prescindere da aspetti adattativi relativi all’ambiente sociale in cui l’individuo è immerso. Alla nascita, il bambino acquisisce progressivamente l’intenzionalità di produrre una modificazione sulla realtà circostante attraverso la manipolazione sensoriale e motoria: è il primo stadio dello sviluppo, definito senso-motorio, dove le conquiste più importanti sono le reazioni circolari e il coordinamento mezzi-fini. Ciò vuol dire che il bambino cristallizza la convinzione di poter sperimentare un rapporto di causa-effetto tra azione e reazione, divenendo così uno “scienziato” che opera per prove ed errori e che organizza le sue mosse in pattern comportamentali via via più complessi, fino ad apprendere una rappresentazione simbolica, seppur rudimentale (permanenza dell’oggetto).

Dopo i due anni, la rappresentazionedell’oggetto viene interiorizzata ed estesa mediante i processi di imitazione e del gioco simbolico: è lo stadio pre-operatorio, dove il pensiero inizia a evolvere verso aspetti più astratti, ma è ancora permeato da un forte egocentrismo che limita il bambino in termini di flessibilità cognitiva e attenzione divisa. In altre parole, egli può soffermarsi solo su un singolo aspetto per volta e il suo punto di vista sulla realtà è l’unica chiave di lettura possibile e credibile di quanto sta sperimentando a livello senso-percettivo. Qualora tale credibilità subisse un crollo, arriva a ipotizzare connessioni magico-fenomeniche sugli eventi, secondo una causalità tutt’altro che razionale: tale meccanismo è detto animismo o pensiero magico ed è rappresentato da un evidente bisogno di poter fornire attribuzioni (seppur prive di scientificità) laddove vi sia una marcata incapacità di spiegare con pensieri e sentimenti propri determinati eventi.

Dai 6-7 anni l’atteggiamento nei confronti del problem solving assume connotati più rigorosi da un punto di vista logico: le operazioni non sono più lineari e immutabili, la causalità può essere annullata mediante azioni di reversibilità, ragion per cui a ogni azione mentale ne corrisponde una inversa e questo permette l’assunzione di più punti di vista. Il realismo, i principi di conservazione, classificazione e seriazione sono imprescindibili per fronteggiare i compiti scolari a cui viene sottoposto ma la capacità di svolgere operazioni sul mondo circostante attraverso ragionamenti ipotetico-deduttivi e/o di logica implicita nei cessi causa-effetto non è ancora matura.

Tale conquista avviene intorno ai 12 anni, con il passaggio allo stadio operatorio-formale, dove la simbolizzazione della realtà diviene particolarmente sofisticata: il bambino i svincola dalla “concretezza” del pensiero centrato su se stesso e sul presente appannaggio di una modalità di elaborazione cognitiva centrata anche sugli altri e su una prospettiva temporale estesa a passato e futuro.

L’equilibrazione adattativa: assimilazione e accomodamento

L’intero processo di acquisizione di conoscenze subisce innumerevoli e costanti processi di modulazione e assestamento, nella teoria piagetiana: i contenuti vengono organizzati in schemi di natura concettuale che devono essere flessibili a potersi riorganizzare in vista di una richiesta ambientale, pena la possibilità di adattarvisi. Difatti, nei meccanismi di organizzazione conoscitiva, gli schemi hanno un ruolo chiave poiché rappresentano “sequenze di azioni coerenti e ripetibili che possiedono componenti strettamente interconnesse e guidate da un significato pregnante” (Piaget, 1952). In altre parole, gli schemi sono il substrato imprescindibile nella guida di un comportamento appropriato e, nel corso del tempo, essi aumentano progressivamente sia nel numero che nella complessità che li caratterizza. È con queste premesse che Piaget (1971) ha teorizzato il ruolo dei due meccanismi di equilibrazione conoscitiva: l’assimilazione e l’accomodamento.

L’obiettivo comune è rappresentato dal fatto di riuscire a mantenere le strutture cognitivecoerenti tra di loro e con le informazioni che provengono dall’ambiente,producendo degli aggiustamentinegli schemi mentali stessi. Si tratta di due funzioni innate, che contribuiscono allo sviluppo cognitivo/intellettivo del bambino mantenendo l’organismo in una condizione di omeostasi, cioè di equilibrio semi-permeabile, a seconda di ciò che l’ambiente sottopone. L’assimilazione consiste nella capacità di selezionare e incorporare nuove esperienze e informazioni agli schemi già in possesso, mentre l’accomodamento è il meccanismo opposto, ossia la modificazione dei comportamenti e degli schemi cognitivi preesistenti in relazione al contesto circostante. In altre parole, il bambino possiede delle categorie che modifica e amplia adducendo nuovi elementi per avere la possibilità di affinare qualitativamente e quantitativamente la spiegazione degli eventi; nel caso in cui questo non fosse possibile, è “costretto” a crearsene di nuove, estendendo così il ventaglio di proposte con cui organizzare e malleare la realtà.

La teoria di Piaget ha costituito uno dei capisaldi nella spiegazione dello sviluppo cognitivo, rivoluzionando il modo di concepire il funzionamento del bambino in età prescolare e scolare. Tuttavia, nonostante il modello piagetiano sia uno dei più accreditati in termini scientifici, esso ha subito molte critiche, tra cui l’isolamento del bambino dal suo ambiente, ignorandodi fatto la possibilità che l’aspetto ecologico possa avere delle ingerenze causali sullo sviluppo cognitivo(e viceversa)se non un marginale contributo di facilitazione in tal senso. In più, il bambino viene visto come un piccolo scienziato, che opera in maniera sistematica e irrevocabile, senza che dimensioni affettive e soprattutto motivazionali possano avere un ruolo di prim’ordine nell’evoluzione. L’unico ambiente di riferimento nello sviluppo è quello fisico, in cui il bambino è immerso, ma le variabili ecologiche non possono prescindere dagli aspetti più squisitamente socio-culturali.

A tal proposito, Vygotskij (1934), fondatore della Scuola storico-culturale, sosteneva che lo sviluppo cognitivo non può non avvenire in un contesto sociale. Egli propone una posizione secondo cui lo sviluppo cognitivo si basa su uno sforzo attivo di comprendere il mondo, invece che su un’acquisizione passiva, ed è tanto più efficace quanto più è efficiente la collaborazione delle persone che ha intorno. Il passaggio dalla dipendenza all’indipendenza del funzionamento cognitivo è segnato dal concetto di zona di sviluppo prossimale, ossia l’intervallo di sviluppo che intercorre tra il livello effettivo di un bambino (che si manifesta quando svolge un compito autonomamente) e quello potenziale (espresso nel momento in cui il compito viene risolto con il supporto del pari o dell’adulto).

È per questo motivo che lo sviluppo non è etichettabile come un asettico passaggio di informazioni e competenze, ma va contestualizzato secondo le variabili culturali in cui il bambino è stimolato. Tale posizione viene sostenuta a gran voce anche da Bruner (1966), secondo cui le attività che hanno permesso lo sviluppo della vita sociale sono alla base dello sviluppo cognitivo: in queste rientra il linguaggio, inteso come strumento di mediazione simbolica che permette agli individui di entrare in relazione. In questo modo ,lo sviluppo cognitivo subisce un’inversione di tendenza: con Piaget le competenze interiori venivano socializzate, mentre con Vygotskij e Bruner il bambino si appropria di significati socio-culturali per poi interiorizzarli, grazie anche all’aiuto di adulti che assumono il ruolo di impalcatura (scaffolding), compensando così il divario tra le abilità richieste e quelle ancor rudimentali del bambino.

 

Implicazioni didattiche

I meccanismi di equilibrazione di cui abbiamo discusso trovano terreno nel campo della psicologia scolastica: non è difficile pensare come gli alunni siano costantemente sollecitati a mettere in atto processi assimilativi e accomodativi nella strutturazione dei loro schemi, tanto più che la loro plasticità cognitiva li indirizza a dover dirimere costanti dissonanze cognitive (Festinger, 1957), ovvero circostanze in cui vi sono tendenze conflittualistati mentali interni e situazioni o informazioni ambientali.

Nelle situazioni di apprendimento, ciò permette al bambino di essere investito di capacità di revisionare i propri schemi mentali e comportamentali, pena la possibilità di superare un determinato ostacolo e dunque di riuscire ad adattarsi all’ambiente.

Un esempio di accomodamento a cui assistiamo nei contesti scolastici è dato dal sempre più pressante bisogno di adeguare l’apprendimento alle nuove tecnologie: questo porta alla necessità di porsi un serio interrogativo, alla luce delle influenze ambientali dei giorni nostri. Come può essere riconcettualizzata (e dunque accomodata) la didattica ad uso e consumo dei nuovi dispositivi per l’insegnamento? (Reinking et al., 2000). Basi pensare ai libri in formato digitale, che negli ultimi anni hanno subito un’importante evoluzione per le loro peculiarità di praticità e maneggevolezza. Per quanto possano rendere maggiormente accessibile la fruizione di un testo, questi non sono esenti da quelle criticità che strizzano l’occhio alla cara e vecchia carta stampata. I materiali stampati che vengono convenzionalmente utilizzati svolgono un ruolo tutt’ora dominante nell’alfabetizzazione e risulterebbe totalmente deleterio sostenere pratiche di alfabetizzazione che esulino dall’utilizzo di materiali cartacei. È altresì veritiero che la pervasività dei media digitali ha generato un cambiamento semi-permanente nelle realtà didattiche, ma la transizione deve essere sostenuta da una gradualità che permetta all’alunno di non sperimentare frustrazioni e incomprensioni che, anziché facilitare il processo lo apprendimento, lo appesantirebbero ulteriormente.

L’utilizzo dei concetti piagetiani trova spazio negli ambiti educativi nel comprendere come si sviluppa il pensiero dell’alunno, facendo sì che anche gli insegnanti ne traggano giovamento. Gli insegnanti possono difatti allineare le loro strategie di insegnamento con il livello cognitivo degli studenti per procedere fianco a fianco nella costruzione della conoscenza. Parallelamente ai concetti sopradescritti, è interessante citare il concetto di conservazione della costanza definito da Garner (2008) come “la capacità di capire come alcune caratteristiche di una cosa possono cambiare, mentre altre rimangono le stesse”. In altre parole, è la realizzazione che anche se un oggetto può essere modificato fisicamente, alcune delle caratteristiche di quell’oggetto rimangono le stesse. La conservazione della costanza “identifica le relazioni e dà un senso alle informazioni fisiche e astratte” (Garner, 2007); se gli studenti non possiedono questa capacità, non possono giovarne nell’ambito scolastico, poiché si fossilizzano esclusivamente sui dati sensoriali e su interpretazioni letterali. Ecco perché tale conquista rappresenta una strategia che permette il passaggio da un pensiero concreto a uno astratto, accomodando le conoscenze precedentemente assimilate in uno schema coerente e coeso. Affinché gli studenti possano sviluppare la loro abilità di conservazione di costanza, gli insegnanti devono offrir loro l’opportunità di riconoscere somiglianze e differenze a livello sia fisico che astratto (Garner, 2008): solo così i processi di assimilazione e accomodamento possono essere continuamente “allenati” e stimolati all’acquisizione di conoscenze sempre più raffinate.

  

BIBLIOGRAFIA

Blake, B., Pope, T. (2008). Developmental psychology: Incorporating Piaget’s and Vygotsky’s theories in classrooms. Journal of Cross-Disciplinary Perspe fictives in Education, 1, 59-67.

Bruner, J. (1966). Studies in Cognitive Growth, New York: Wiley. Trad. it. Studi sullo sviluppo cognitivo, Roma, Armando, 1968.

Festinger, L. (1957). A Theory of Cognitive Dissonance. California: Stanford University Press. Trad.it. Teoria della dissonanza cognitiva, Milano: Franco Angeli, 1973.

Garner, B.K. (2007). Getting to got it. Alexandria, VA: ASCD.

Garner, B.K. (2008). When students seem stalled: The missing link for too many kids who don’t “get it?” cognitive structures. Educational Leadership 65 (6), 32-38.

Piaget, J. (1936). Origins of intelligence in the child. London: Routledge & Kegan Paul. Trad. it.: La nascita dell’intelligenza nel fanciullo, Firenze: Giunti-Barbera universitaria, 1968.

Piaget, J. (1971) Geneticepistemology. New York: W.W. Norton. Trad. it.:L’epistemologia genetica, Bari: Laterza, 1971.

Reinking, D., Labbo, L., & McKenna, M. (2000). From assimilation to accommodation: A developmental framework for integrating digital technologies into literacy research and instruction. Journal of research in reading, 23(2), 110-122.

Vygotskij, L. S. (1934). Thought and language. Cambridge, MA: MIT Press. Trad. it.: Pensiero e linguaggio, Firenze: Giunti-Barbera, 1954

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